Dal 17 settembre. Leggete e vedete se non vi ricorda qualcosa:
“Il Tg1 si rifa’ il look, si ripensa e si adegua ai tempi caratterizzati da sempre piu’ forti sentimenti di antipolitica.Il direttore Riotta spiega il senso di quella che lui stesso definisce una maturazione e non una rivoluzione. Si parte dal 17 con uno studio dal tratto avveniristico dove il conduttore sara’ piu’ giornalista, pronto a fare interviste in diretta e a dare commenti, una informazione politica capace di guardare meno ai politici e al palazzo e piu’ al pubblico.“
L’ultimo periodo mi sembra terrificante, perché dovrebbe essere ovvio avere il pubblico e non i politici come punto di riferimento nell’informazione. Eppure così non è e quindi l’affermarsi dell’ovvio appare una grande novità.
“Pronto a dare commenti” mi ricorda invece la strada che i media personali (vedi blog) hanno mostrato, ma temo che si abbia come indicazione l’antipolitica di Beppe Grillo, non il web 2.0.
Accidenti, perché invece i media americani il web 2.0 lo tengono in gran conto
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Io credo che il giornalista non debba guardare né al palazzo né al pubblico, ma deve semplicemente fare il giornalista, trattando l’informazione per quello che realmente è, senza badare agli indici di gradimento di nessuno. L’informazione è fatti, è verità, è testimonianza, è ricerca. Basta con le notizie che non sono neanche tali, con l’informazione spettacolo, l’informazione strabica che con un occhio guarda all’editore e l’altro agli indici di ascolto, basta con i giornalisti che fanno informazione a seconda del datore di lavoro, basta con l’informazione che fruga senza rispetto nel dolore della gente pur di fare ascolto, basta con l’informazione che non misura le parole, basta con i servizi video che sono solo uno spreco di denaro perché non sono informazione, basta con una stampa che considera l’ascoltatore come un semplice consumatore del prodotto di moda, basta con una stampa che non accetta critiche.
Vorrei un Tg in cui i fatti siano tenuti distinti dalle opinioni, che aiuti il telespettatore a ragionare con la testa propria, che tenga chiaramente distinte le notizie che contano veramente da quelle di folclore, che abbia rispetto dei bambini, che non sia gestito come una sorta di Colosseo mediatico, dove ci sia spazio anche per le belle notizie che pure ci sono e fanno anch’esse parte della realtà, dove non ci sia manipolazione della verità, e potrei andare avanti ancora per molto.
Senza questo, si può guardare dove si vuole, ai politici o al pubblico, ma la qualità non cambierà mai. Adesso qualcuno dirà che la colpa non è dei giornalisti, che è la società ad essere così, che è la gente che vuole questo ecc. ecc. Ma perché, se alla gente piacesse vedere stupri in diretta sarebbe questa una ragione sufficiente per farglieli vedere? Il lavoro del giornalista è estremamente delicato, per gli effetti che il loro lavoro può avere sul modo di pensare e di comportarsi, per il conflitto tra dovere di cronaca e censura oppure tra dovere di cronaca e rispetto di un livello minimo di umanità. Ma il dovere di cronaca non può consentire di sconfinare, ad esempio, nella gogna mediatica. Siamo veramente sicuri che questo non avvenga?
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