Il caso dei bassi compensi della Nazione finisce in parlamento. E il Manifesto, pietra miliare del giornalismo italiano, si riduce a chiedere la beneficienza, esperimento che di solito, esperienza insegna, porta poche migliaia di euro ai questuanti.
Auguro tutto il bene possibile a entrambe le iniziative, la protesta dei collaboratori della Nazione e la questua del Manifesto. Ma è segno che la nave scricchiola. Continuerà a scricchiolare per decenni, questo è certo, prima di affondare. Ma una volta che affonderà, che cosa ci resterà? I giornali online non riusciranno mai a compensare, in termini di posti di lavoro, quelli che vanno via per la crisi delle riviste cartacee. E questo perché i grandi editori su Internet hanno preso una piega molto comoda a loro: pochi redattori e una folta schiera di collaboratori. Non credo proprio che aumenteranno proporzionalmente il numero degli assunti man mano che i giornali online diventeranno più popolari e che ruberanno spazio a quelli di carta (un processo che mi sembra inesorabile, anche se lentissimo).
Purtroppo temo che tutto questo non farà bene al giornalismo. No, perché è inutile mettersi il prosciutto di fronte agli occhi: i collaboratori esterni sono utili, ma c’è bisogno di una forte squadra di redattori affiatati per produrre buoni giornali. Purtroppo non è solo la qualità, ma anche l’indipendenza dei giornali a essere a rischio. Testate che vivono di collaboratori fanno un giornalismo che è più ricattabile da politici e aziende che non vogliono si parli male di loro. I collaboratori sono meno tutelati rispetto ai redattori, hanno le spalle meno coperte e quindi sono istintivamente portati a piegarle. Già adesso non è che il giornalismo italiano brilli di indipendenza. Le aziende, soprattutto nel settore tecnologico, sono abituate alle leccate di posteriore e non ai graffi. Le grandi aziende sono poche (a causa delle caratteristiche del nostro tessuto industriale), quindi il loro potere pubblicitario è concentrato. C’è anche un problema culturale: le aziende male concepiscono la libertà di stampa, non capiscono che fa bene a loro e a tutto il Paese che si possa scrivere liberamente, senza pressioni. E sono pronte a usare ogni mezzo per mettere a tacere i giornalisti scomodi. Ma finché c’è una redazione di giornalisti saldi, c’è sempre un muro da contrapporre a questi tentativi. Anche per questo motivo, nella nostra corrotta e puerile Italia, sarebbe pericoloso permettere il libero licenziamento dei giornalisti. A liberare i posti non saranno- come qualcuno invece crede- i giornalisti inetti, ma quelli che hanno meno le spalle protette e che non accettano compromessi. Tutto il contrario della meritocrazia che i sostenitori del licenziamento facile vagheggiano.
Purtroppo se continuerà a imporsi il modello della redazione leggera arrivereremo comunque al punto in cui sarà sempre più difficile scrivere la verità.
Storie quotidiane di triste giornalismo
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{ 6 commenti }
Una volta tanto, concordo. Il ruolo delle redazioni e’ fondamentale. Mah… ieri ero d’acccordo con Granieri, oggi con te… si vede che non sto bene…
😉
Ciao, Fabio.
La redazione leggera può funzionare, può funzionare anche il modello dell’armata di collaboratori. Ciò che non funziona è solo una cosa: in Italia non si legge abbastanza e non c’è troppo mercato pubblicitario per le testate. Fintanto non viene risolta questa faccenda, le testate come il Manifesto, di nicchia e certamente “contro”, dovranno ridursi a chiedere elemosine. E’ un vero problema. E chi esce dal gioco, è difficile possa rientrare contando esclusivamente sulle proprie forze. Gli editori puri…. sono mosche bianche e talvolta non vivono bene.
Ah, come vorrei che l’Italia fosse come il Regno Unito o gli Stati Uniti!
caro Alex,
hai toccato un tasto dolentissimo, e mi trovi consenziente al punto che ritengo che quanto scrivi vale anche (mutatis mutandum) per le redazioni editoriali, intendo dire quelle “che fanno i libri”. Ci sono passato in mezzo io stesso, quando dopo 9 anni di lavoro dipendente mi hanno chiesto di accomodarmi perché era necessario ‘snellire’, ‘razionalizzare’, rendere ‘flessibile’ (e tutto il lessico eufemistico a riguardo…)! Certo, sopravvivo, ma (per esempio) pago + tasse e non so bene cosa succederà di me fra un anno o due. O se (per un qualsiasi motivo accidentale) venissero a mancare i contatti che ho attualmente.
Nel caso editoriale non si parla di verità, ma di correttezza del testo, controlli, ma sono concetti appena limitrofi a quelli da te sbandierati. E’ sempre ‘cultura’, un discorso di cui beneficiano gli utenti, cioè gli acquirenti della merce-libro, cioè i lettori. E ha ragione Tommy (quello del secondo commento): i dati statistici + recenti sulla lettura in Italia sono semplicemente falsati dal boom del libro venduto assieme al quotidiano; in realtà, purtroppo, chi legge è una minoranza davvero risicata.
Ma nonostante questo, non sono d’accordo con la conclusione di Tommy: non ho un’esperienza diretta, personale di UK e/o USA, ma credo che lì la competizione sia molto + dura, anche se può essere alleviata dal fatto di avere regole chiare e (soprattutto) alle quali tutti (?) si attengono. O almeno questa è l’impressione che trapela sin qui…
CIAO
Più volte Il Manifesto, strano caso di giornale ultrapoliticizzato ma che non risponde a nessun partito, giornale-cooperativa che è in attivo e perciò non può chiedere aiuti pubblici, è stato salvato proprio grazie alle sottoscrizioni del suo pubblico, che si è tassato, ha comprato le azioni, ha partecipato a cene e lotterie, ha acquistato copie a prezzi politici dieci volte superiori.
Il Manifesto vive grazie ai lettori e ai giornalisti che prendono poco più di un operaioed è un bene per il pluralismo dell’informazione italiana, già così malconcio.
quoto tutto il post. Ho scoperto per caso il tuo blog e ne sono soddisfatto: sei già nei miei segnalibri.
Sei il collega del Messagero?
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