Ho provato a lungo il gioco sulla strage del Columbine, di cui ha parlato tra i primi Repubblica.it.
Con cognizione di causa, mi associo a coloro che difendono il gioco. E’ uno strumento per capire (il che è necessario per evitare il ripetersi), non per esaltare il delitto.
Ci sono lunghe scene dove si mostrano le depressioni dei due ragazzi, il loro sentirsi esclusi ed essere trattati da diversi. In alcuni casi è davvero poetico.
Il gioco non giustifica ma invita a capire, quindi è un po’ come il film Elephant.
Non bisogna farsi ingannare dal fatto che ci mette nel ruolo degli autori della strage. In realtà c’è un problema di fondo: la gente non capisce il significato dei videogiochi. Poiché il protagonista è cattivo si sottinttende che l’opera sia un’esaltazione della violenza. Un po’ come in passato si condannavano i libri dove il protagonista faceva cose immorali. Non bisogna identificare la morale del protagonista con il messaggio o con il pensiero dell’autore.
Fra qualche anno lo si capirà che vale anche per i videogiochi, nonostante il processo di interazione che suggerisce una più marcata identificazione.
Certo, le scene di violenza del gioco sono superficiali e ripetitive, ma credo che sia un limite dello strumetno usato dagli autori (RPG Maker).
Ho giocato alla strage del Columbine
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