L’umanità sta affidando a una rete di sensori un sogno antico. Il più ambizioso, anche, nel suo millenario e conflittuale rapporto con la natura: poterla controllare per non doverne più subire i cambi d’umore. Il devastante imprevisto di una grandine che distrugge i raccolti. Uno tsunami che si abbatte sulla costa. Un terremoto. Passando da un più banale incendio, che però tanti danni fa a boschi e colture.
Ma c’è disastro e disastro. Alcuni possono essere evitati, basta prevederli per tempo. Per altri, l’umanità deve accontentarsi di poterli prevedere. Per altri ancora nemmeno quello- vedi i terremoti- ma almeno li può tracciare quando accadono. Lo scopo è sempre lo stesso: ridurre i danni, almeno, se non è possibile evitarli. A patto di avere il sensore giusto dalla propria.
Se ci spaventano le improvvise grandinate o le piogge torrenziali che distruggono un raccolto, ci sono per esempio i sensori sviluppati dai ricercatori dell’Kerala Agricultural University, in India. Una stazione monitora il micro clima della zona e, grazie a oggetti sensori posti nel terreno, le sue condizioni. A una tecnologia simile sta lavorando Ibm. «Secondo il dipartimento di Stato dell’agricoltura statunitense, le previsioni meteo sbagliate causano il 90 per cento delle perdite dei raccolti. Servono previsioni di nuova generazione, accurate fino al livello di singola fattoria», dice Lloyd Treinish, responsabile del team di scienze ambientali presso il Thomas J. Watson Research Center di Ibm.
È possibile grazie non solo ai sensori ma anche ad algoritmi sofisticati e a super computer che interpretino i dati rapidamente. Anche le malattie distruggono i raccolti e in questo caso i sensori servono per rilevare le condizioni che le favoriscono (umidità del suolo e delle piante, per esempio), permettendo così di correre ai ripari. Avviene in Galizia e nelle Langhe. In questo caso i sensori devono essere distribuiti in più punti, persino sulle piante, e comunicare i dati raccolti attraverso una rete wireless (su onde radio). Ci sarà sempre un computer da qualche parte che li riceve tutti aggregati, li interpreta, ed eventualmente lancia l’allarme al contadino.
Stesso funzionamento hanno i sensori che, posti sugli alberi, possono monitorare la presenza di incendi e tracciare l’ora, il luogo, lo spostamento del fuoco. E’ un progetto sperimentato dal Comune di Roma. In Australia stanno provando a fare lo stesso tramite piccoli droni- velivoli automatici- dotati di videocamera e sensori termici.
«In Italia siamo all’avanguardia per lo studio di sensori che misurano gli smottamenti del terreno e possono così prevedere grandi frane distruttive per un paese. E’ un progetto del Centro nazionale delle ricerche», dice Mario Calderini, docente del Politecnico di Torino e responsabile area Smart Cities per l’Agenzia dell’Italia Digitale.
«Ma abbiamo anche una buona rete di sensori sismografi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Monitora in tempo reale i movimenti tellurici nel sottosuolo», continua. Adesso l’Istituto mira a elaborare un primo modello scientifico di propagazione delle onde sismiche sull’intero territorio nazionale, tramite uno dei più potenti super computer al mondo (Enrico Fermi, a Bologna, presso il consorzio universitario Cineca).
Lo scopo non è prevedere un terremoto ma di coglierlo subito- per allertare la popolazione-, capire meglio come agisce e accelerare poi il recupero del territorio. Allo stesso scopo è nata la grande rete di sensori in California, che di terremoti se ne intende.
Ma a volte non si può far da soli. La lotta alle catastrofi costringe i popoli a collaborare. Succede nel Sud est asiatico, dove i sensori monitorano i movimenti idrografici su fiumi molto lunghi, che attraversano diverse nazioni. È internazionale anche la rete di sensori sottomarini per prevedere tsunami nel Pacifico. I sensori sono sul fondo, dove rilevano il livello delle acque in base alla quantità di pressione che avvertono. Sono collegati ad antenne galleggianti che mandano questi dati via satellite alla World Meteorological Organization. Qualunque scienziato dotato di internet può leggerli per stimare le possibilità di uno tsunami.
Sta maturando un’idea. Che la tecnologia non basta. Organizzazioni, Regioni e Paesi diversi devono collaborare per aggregare i dati che vengono rilevati in vari posti. Solo così potremo ricavarne un senso complessivo. «In Italia potremmo fare molto. Anzi, dovremmo, visto che siamo in un territorio critico per i disastri naturali. Ma siamo in forte ritardo», dice Michele Vianello, direttore del Parco Scientifico tecnologico Vega di Venezia e autore del libro Smart Cities, pubblicato a marzo da Maggioli Editore. «Gli oggetti intelligenti, dotati di sensori e di connessioni, possono dare infiniti benefici per la cura dell’ambiente e la prevenzione dei disastri- spiega. Ce ne sono già molti funzionanti in Italia, per i fiumi, i movimenti tellurici. Però i loro dati sono sfruttati male». «Il motivo è che non abbiamo ancora maturato una cultura della gestione e dell’apertura dei dati. Cioè le istituzioni non li rendono disponibili al pubblico e all’esterno». Ma i dati devono essere aperti e accessibili per essere studiati da comunità scientifiche internazionali ed essere aggregati con quelli rilevati da altri sensori. E arrivare così a una conoscenza che è superiore alla somma delle parti.
Controllare la natura con la tecnologia è un vecchio sogno ambizioso. Ancora di più lo è- pare- la collaborazione di persone e popoli oltre i rispettivi recinti culturali.
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