Sono giovani, in prevalenza donne, e lavorano per persone o aziende che non conoscono, attraverso siti Web quasi sempre americani. Il lavoro: tradurre una frase, sottotitolare un film, scrivere un po’ di codice per un videogioco da cellulare, dare assistenza on line a qualche cliente di grandi aziende. Ma anche – e forse è peggio – mettere “50 mi piace” su una pagine Facebook o scrivere una recensione (fasulla) di un albergo o di un ristorante su Tripadvisor. Certo, ci sono anche buone occasioni, con cui un laureando può aspirare a portare a casa fino a un centinaio di euro al giorno. Ma varie stime internazionali rivelano che il guadagno medio è molto meno roseo: due o tre euro all’ora, fino a un massimo di quattro o cinque se si è molto veloci. Senza tutele, né garanzie. Nemmeno quella di essere davvero pagati, alla fine.
E’ il fenomeno del crowdworking, fusione di due termini inglesi (“work” e “crowd”, cioè folla), l’ultima frontiera di lavoro disgregato e miniaturizzato nell’era post industriale.
I commenti per questo articolo sono stati chiusi.