Mica Agcom ha rinunciato all’idea di oscurare direttamente i siti, imponendolo ai provider, senza passare dalla magistratura. Basta leggere con attenzione l’audizione del presidente Calabrò oggi al Senato. Ci sono alcuni passaggi molto eloquenti.
Prima ricorda che ora è l’Autorità giudiziaria a oscurare i siti. Così è anche nell’ultima versione della famosa delibera Agcom sul copyright online (nel precedente testo era invece la stessa Agcom a esercitare questo potere, poi eliminato dopo tantissime proteste). Poi avanza un dubbio, però: che forse sarebbe meglio se Agcom stessa oscurasse, “sarebbe più rapido ed efficace”. Leggiamo: “E’ da valutare se, nell’interesse di tutte le parti coinvolte, una richiesta di inibizione all’accesso del contenuto da parte anche dell’Autorità amministrativa (la stessa Agcom, Ndr) preposta possa essere più rapida e, in compenso, laddove eseguita, valga a evitare (o almeno ad attenuare) la ricaduta in sede penale”.
Calabrò sa però che Agcom non può (più) scrivere questo in delibera, senza suscitare sollevamenti di scudi. Chiede quindi una legge dal Parlamento, “non una riforma organica del diritto d’autore”, “ma un intervento di razionalizzazione e di collegamento tra le norme esistenti che definisca meglio alcuni dei temi aperti e chiarisca senza incertezza in che misura l’azione amministrativa (cioè di Agcom, Ndr.) possa essere un valido strumento di intervento, corredato dalle necessarie garanzie, al fine di realizzare un’azione rapida, incisiva e ben calibrata”.
E’ molto improbabile che il Parlamento si esprima in materia. E se lo farà non credo si raggiunga il consenso per dare nuovi poteri ad Agcom. Credo proprio che il tutto si risolva in un “vorrei ma non posso” da parte di Calabrò e quindi per ora il web ha parato il colpo contro il rischio censura
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